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Ebraismo Percorsi di attualità

L’ebraicità di Gesù: storia e attualità

L’ebraicità di Gesù nei Vangeli

Il legame di Gesù di Nazareth con l’ebraismo del suo tempo è evidenziato in modo inequivocabile nel Nuovo Testamento. Gesù/Jeshua‘ porta un nome ebraico (cfr. Mt 1,21); nasce e cresce in una famiglia che osserva scrupolosamente le mitzwot, i precetti religiosi prescritti dall’insegnamento di Mosè: Gesù viene circonciso e riscattato, come tutti i primogeniti, e sua madre compie i riti di purificazione (cfr. Lc 2,21-24; Es 13,1-2; Lv 12,1-8); la famiglia celebra le feste ebraiche, compie i pellegrinaggi a Gerusalemme e Gesù viene educato nella tradizione religiosa del suo popolo (cfr. Lc 2,41-47; Es 23,14-17). Da adulto, Gesù sottolinea con forza che la Torah mosaica deve essere osservata e bisogna insegnare agli altri ad osservarla: non può essere abolita, trasgredita o alterata in alcun modo (cfr. Mt 5,17-19).

La sua vita religiosa si svolge tra il culto del Tempio di Gerusalemme e quello della sinagoga, le due istituzioni religiose che costituivano gli assi portanti dell’ebraismo del tempo in Terra di Israele, ed il suo insegnamento è volutamente rivolto a tutte e solo alle «pecore perdute della casa di Israele» (cfr. Mt 10,1-6).

Profondo conoscitore dei testi sacri e della tradizione, il maestro di Nazareth commenta la Torah e gli scritti profetici (cfr. Lc 4,16-21), ammaestra discepoli, offre la propria interpretazione delle principali questioni normative, ma non esce mai dal solco della tradizione. Abbiamo una prova di questo nei capi d’imputazione con cui Gesù viene condannato a morte: l’accusa di bestemmia per essersi autoproclamato il Messia regale, ma non l’accusa di avere violato i precetti.

Gesù e gli ebrei del suo tempo

Per quale motivo, allora, siano abituati a pensare che l’insegnamento di Gesù sia in aperto contrasto con la tradizione ebraica della sua epoca?

I Vangeli ci testimoniano diverse discussioni tra il maestro di Nazareth e altri maestri, ognuno dei quali propone la propria linea interpretativa della Torah. Interpretare non significa però contraddire e tutte le “dispute” di cui i Vangeli danno conto, vanno considerate come questioni interne all’ebraismo dell’epoca di Gesù, liti in famiglia in un’epoca in cui la tradizione ebraica non si era ancora fissata in maniera netta e precisa. Il giudaismo dell’epoca di Gesù era estremamente composito, come ci testimoniano vari storici, tra cui Giuseppe Flavio, e vedeva la presenza di gruppi farisei, sadducei, esseni, zeloti e altri meno numerosi.

L’insegnamento di Gesù si colloca in questa pluralità, particolarmente vicino all’insegnamento farisaico e proprio perché Gesù e i farisei condividevano molte idee e valori (vita frugale e in mezzo al popolo, riconoscimento della libertà umana, fede nell’immortalità dell’anima, centralità della discussione per dirimere le questioni religiose), i Vangeli enfatizzano le differenze che emergono su alcune questioni: il modo in cui va rispettato lo shabbat, la necessità di lavare le mani prima di mangiare (che all’epoca di Gesù non era ancora stata imposta come un obbligo), la possibilità di sciogliere un matrimonio. Lo scopo principale dei Vangeli è quello di mettere in luce gli elementi di peculiarità dell’insegnamento gesuano e per questo, talvolta, le dispute con gli altri maestri vengono particolarmente evidenziate, sottintendendo il fatto che se Gesù non avesse riconosciuto il valore dei precetti ebraici, non avrebbe neppure intavolato tali discussioni. Ad un orecchio non ebraico, però, tale sottinteso può sfuggire e questo ha fatto sì che per secoli i farisei, anziché essere considerati “colleghi” di Gesù, siano stati considerati i suoi più strenui oppositori.

L’ebraicità di Gesù nell’insegnamento della Chiesa cattolica

Per sanare questa incomprensione, nel solco della riscoperta dell’ebraicità di Gesù e dei primi discepoli, la Chiesa cattolica ha ribadito con forza in un documento del 1986 che «Gesù è ebreo e lo è per sempre». I primi studi sull’ebraicità di Gesù si devono allo storico ebreo francese Jules Isaac, che tanta parte ebbe nel far nascere il dialogo ebraico-cristiano, e al suo testo Gesù e Israele.

Jules Isaac

Jules Isaac fu tra l’altro il promotore dell’incontro ebraico-cristiano che avvenne a Seelisberg, in Svizzera, nell’agosto 1947, subito dopo la tragedia della Shoa: in questo incontro un gruppo di cristiani appartenenti a diverse chiese, non soltanto cattolici, e alcuni ebrei siglarono un documento in dieci punti che sottolinea l’ebraicità di Gesù e dei primi discepoli e ricorda che le espressioni «giudei» e «nemici di Gesù» non devono essere intese come sinonimi. A Jules Isaac e al suo incontro con papa Giovanni XXIII nel 1960, si deve l’intuizione germinale che portò alla redazione del paragrafo 4 della dichiarazione conciliare Nostra Aetate, dedicata al rapporto della Chiesa cattolica con il popolo ebraico. Dopo il Concilio molti passi in avanti sono stati fatti, basti citare la dichiarazione promulgata dai Vescovi tedeschi nell’aprile 1980, aperta dall’affermazione «Chi incontra Gesù Cristo, incontra il Giudaismo»: nel discorso tenuto alla Comunità ebraica di Magonza (17 novembre 1980), papa Giovanni Paolo II affermò «questa parola vorrei farla anche mia», enfatizzando con forza il riconoscimento dell’imprescindibile ebraicità di Gesù.

L’antigiudaismo nel linguaggio comune

Ciononostante nella mentalità comune permane l’abitudine di leggere l’insegnamento di Gesù come diametralmente contrapposto a quello ebraico. Intellettuali di grande spessore, ma di scarsa competenza su temi religiosi, oppongono la Torah di Mosè (esperienza di morte) e la resurrezione di Gesù (esperienza di vita), ritenendo che il nazareno abbia ripensato radicalmente la nozione di Legge e affermando che nella sua predicazione «non c’è proibizione giustificata di fronte al dovere del desiderio».

Oppure riducono l’ebraismo a religione «severa e vendicativa», che intende la «giustizia come vendetta» e nutre una profonda «passione per la guerra», dimenticando – o più probabilmente ignorando completamente – che il comandamento dell’amore è stato dato prima che altrove nella Torah ed è rivolto a tutti: amore per il prossimo e amore per lo straniero (cfr. Lv 19,18; Lv 19,33-34). Questa è la legge d’amore che ha bene in mente Gesù quando aiuta i suoi discepoli a fare sintesi della Torah e ad individuarne il nucleo (cfr. Mt 22,36-40).

Naturalmente non tutto il mondo della cultura si muove su una linea di contrapposizione tra Gesù e l’ebraismo e vi sono posizioni di intellettuali, anche non ebrei, che ricompongono la frattura ed evidenziano il potere liberante della Torah. Tuttavia la scarsa conoscenza dell’ebraicità di Gesù, la contrapposizione superficiale tra Gesù e i farisei, la lettura della religiosità ebraica come puramente formale e priva di una reale profondità spirituale creano – come è facile comprendere – incidenti nel cammino del dialogo ebraico-cristiano e possono generare «stanchezza e sconforto» da parte ebraica.

Oltre la teologia della sostituzione

Se la teologia della sostituzione, ossia quella visione teologica secondo cui la venuta di Gesù avrebbe superato la Torah rendendola obsoleta ed inutile, ha caratterizzato la visione di diversi teologi del passato e si è radicata anche nella mentalità laica, dopo il Concilio Vaticano II la Chiesa cattolica ha coraggiosamente ripensato il rapporto di Gesù con l’ebraismo. Ne è una prova il convegno internazionale che si è svolto nel maggio 2019 presso l’Università Gregoriana dal titolo Jesus and the Pharisees. An Interdisciplinary Reappraisal (Gesù e i farisei. Una rivalutazione interdisciplinare).

Numerosi studiosi provenienti da diversi continenti hanno riletto il movimento farisaico dal punto di vista storico e archeologico, muovendo dai testi di Giuseppe Flavio e dai manoscritti di Qumran, oltre che dalla tradizione rabbinica e cristiana; hanno riconsiderato gli scritti evangelici e paolini; hanno approfondito l’interpretazione farisaica della legge ebraica, anche mettendola a confronto con l’interpretazione gesuana. Non deve stupire che molti degli studiosi intervenuti fossero ebrei: il movimento farisaico rappresenta, in qualche modo, l’antecedente più diretto del giudaismo rabbinico sopravvissuto alla distruzione del secondo Tempio di Gerusalemme nel 70 e.v. e oggi diffuso in tutto il mondo. Inoltre da parte ebraica è iniziata da diversi decenni una lettura del Gesù storico all’interno dei movimenti ebraici del suo tempo, che aiuta anche i cristiani a ricontestualizzare l’esperienza dell’ebreo Gesù.

Riletture ebraiche della figura di Gesù

Oltre al già citato Jules Isaac, che decostruisce dal punto di vista storico il pregiudizio secondo cui tutti gli ebrei avrebbero rifiutato Gesù (i primi discepoli di Gesù erano ovviamente tutti ebrei), possiamo citare molti altri studiosi. Schalom Ben Chorin nella sua opera Fratello Gesù. Un punto di vista ebraico sul nazareno, parte dal presupposto che Gesù sia suo fratello non solo in quanto essere umano, ma proprio in quanto ebreo. Pur non riconoscendo la messianicità e la divinità di Gesù, Ben Chorin si interroga sulla fede di Gesù: sulle parabole, sul discorso della montagna, sulla preghiera di Gesù. Evidenzia inoltre la vicinanza geografica e culturale a Gesù di un ebreo che vive in Israele: «io vivo nella sua terra e tra il suo popolo, e i suoi detti e le sue parabole mi sono così vicini e pieni di calore umano come se tutto ciò fosse accaduto qui, oggi».

Sulla stessa linea si muove Pinchas Lapide che nel testo Predicava nelle loro sinagoghe. Esegesi ebraica dei Vangeli, sottolinea ciò che – da ebreo ortodosso – lo unisce a Gesù: la geografia e la topografia di Israele, la lingua, il modo di interpretare la Bibbia, la fantasia orientale, la preoccupazione per il popolo di Israele. Lapide è probabilmente lo storico ebreo che si spinge più avanti nel processo di avvicinamento a Gesù, arrivando ad affermare di credere nella resurrezione del nazareno, benché tale resurrezione non significhi per lui che Gesù sia il messia. Tra gli autori ebrei viventi che si occupano di Gesù da un punto di vista storico, ma senza tralasciare le questioni di cristologia, occorre citare almeno Günter Stemberger, Daniel Boyarin, Amy-Jill Levine.

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Creato con un’immagine di falco - "church window church window"