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Ebraismo Percorso storico

Gesù storico

Galilea dei giudei

Gesù di Nazaret – “ebreo per sempre” – è il legame permanente tra il popolo d’Israele e una Chiesa storicamente venuta configurandosi come esclusivamente ex gentibus e non più anche ex circumcisione.

Il recupero ecclesiale della memoria dell’ebraicità di Gesù e del cristianesimo delle origini in genere (Mello 2011; Boccaccini – Stefani 2012) continuerà a portare frutti nel dialogo ebraico-cristiano. A tale riconoscimento, oggi definitivamente acquisito in ambito accademico, si è arrivati grazie a contributi pionieristici di studiosi ebrei del XIX e XX secolo (Jaffé 2013), che hanno anticipato le prospettive della Third Quest sul Gesù storico (Stegemann 2011, 102-4, 132-44). Gesù crebbe nel piccolo villaggio galileo di Nazaret in una famiglia ebrea devota al Tempio di Gerusalemme.

Considerata a lungo semi-pagana per via del riferimento alla “Galilea delle genti” (cfr. Is 8,23), la Galilea era invece etnicamente, culturalmente e religiosamente tanto giudaica quanto la Giudea (Dunn 2006a, 310-19; Testaferri 2018). Lo attestano i ritrovamenti di recipienti di pietra impermeabili all’impurità rituale e di piscine per immersioni purificatorie (miqwa’ot), congiuntamente all’assenza di ossa di maiale. La cultura greco-romana era penetrata in certa misura nelle capitali amministrative della regione, Sefforis e Tiberiade, il cui ethos rimaneva però in prevalenza giudaico.

Nella scia del Battista

Sebbene Gesù abbia operato prevalentemente in Galilea, il suo ministero pubblico iniziò nel sud della Terra d’Israele, tra Giudea e Perea. Qui, infatti, Gesù aderì al movimento di Giovanni il Battista (Adinolfi 2021; Zygulski 2019), dal quale si fece battezzare nel Giordano in risposta al suo appello al pentimento e al ritorno ad una vita giusta, seguendolo per un periodo come discepolo e collaboratore alla sua missione battesimale.

Gesù ereditò da Giovanni la passione per la giustizia, l’attenzione ai più poveri, lo stile di vita celibatario itinerante e, soprattutto, il forte annuncio escatologico di giudizio e salvezza.

Dopo che Erode Antipa fece arrestare Giovanni, Gesù ne portò avanti l’annuncio nella sua Galilea, operando prevalentemente nei piccoli villaggi lungo la costa nord-occidentale del lago, dove facilmente avrebbe potuto continuare a battezzare (Adinolfi 2021, 163-73; Meier 2002, 175-8).

Egli concepiva il proprio ministero come destinato specificamente alle “pecore perdute d’Israele” (cfr. Mt 10,5-6); lo conferma la scarsità degli incontri tra Gesù e persone non ebree riportati nella tradizione evangelica.

In Galilea Gesù istituì il gruppo dei Dodici, ossia la cerchia più intima dei suoi seguaci, in rappresentanza delle dodici tribù d’Israele. A costoro – uomini presi dalla gente comune come lui – Gesù promise che avrebbero amministrato la giustizia sulla nazione come servi anziché despoti; ciò è stato definito un “messianismo di gruppo” (cfr. Theissen 2021, 21-2).

Regno di Dio e liberazione

Il cuore dell’annuncio di Gesù era costituito dall’avvento del regno di Dio, che egli vedeva come radicalmente imminente (cfr. Mc 1,15; 13,28-30) e perfino già misteriosamente presente (Dunn 2006b, 448-528).

Come afferma un detto riportato dal Vangelo di Tommaso:

“Chi è vicino a me è vicino al fuoco, chi è lontano da me è lontano dal regno” (Vang. Tom. 82).

Segno speciale di questa presenza incipiente del regno erano gli esorcismi da lui compiuti, i quali certificavano ai suoi occhi che il trionfo apocalittico di Dio sulle potenze del male aveva avuto inizio. Ma la liberazione della gente dalla malattia e dall’azione degli spiriti impuri era tutt’uno con quella dall’oppressione economica e dall’emarginazione sociale: per questo Gesù non solo assicurava ai poveri e agli afflitti che Dio era sul punto di ribaltare la loro condizione, ma si adoperava affinché ciò avvenisse già nel presente, invitando i suoi ascoltatori ad aprire le loro case ai nullatenenti e a rimettersi gli uni gli altri i propri debiti (Destro – Pesce 2021, 125-7) condannando la ricerca della ricchezza come idolatria incompatibile con il regno di Dio.

Gesù e la Torah: il sabato

La fama di taumaturgo di cui Gesù godeva finì per attirare su di lui sospetti e critiche. Alcuni riconducevano il suo operato a una magia demoniaca. Altri gli contestavano che guarisse i malati anche di sabato, in sinagoga, violando – ai loro occhi – la prescrizione del riposo. In realtà non era evidente che prestare soccorso fosse una forma di “lavoro”. Era una questione dibattuta.

L’interpretazione legale (halakhah) degli esseni rifiutava ciò che invece Gesù riteneva condiviso:

«Chi di voi, se un figlio o un bue gli cade nel pozzo, non lo tirerà fuori subito in giorno di sabato?»

(cfr. il duplice divieto in Documento di Damasco 11,13-17, solo in parte mitigato in 4Q Regola di Damasco fr. 2 col. 1). Al contrario, la successiva halakhah rabbinica è in linea con Gesù: curare non viola il dovere del riposo sabbatico (cfr. Mishnah Yoma 8,6; Tosefta Shabbat 2,7; 9,22; 15,14-15), tant’è che la massima

«il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato»

ha un parallelo identico nella tradizione rabbinica: «Il sabato è stato dato a voi e non voi al sabato» (Mekilta su Es 31,14; cfr. Talmud Bavli Yoma 85b).

Sinagoga di Cafarnao - Pixabay

Gesù e la Torah: sacrifici, kasherut

Gesù non intese mettere in dubbio neppure la validità della legislazione mosaica sui cibi proibiti e sui sacrifici. Che questi ultimi fossero accettati da Gesù è attestato dal comando al lebbroso guarito di compiere l’offerta prescritta e dall’istruzione ai discepoli su come offrire all’altare. Quanto alla legislazione sui cibi, non vi è alcun fondamento all’opinione secondo cui Gesù avrebbe abrogato la kasherut giudaica.

Il dibattito con i farisei non riguarda i cibi proibiti, bensì la speciale tradizione farisaica (non biblica) secondo cui prendere cibo con mani non lavate (potenzialmente impure) avrebbe contaminato ritualmente colui che mangia. Gesù rifiuta questa halakhah farisaica replicando che l’essere umano non può essere contaminato da ciò che entra in lui (sottinteso: i cibi leciti) e che a renderlo impuro sono invece le cose che escono dall’essere umano: fluidi corporei (sperma, mestruazioni, altre perdite irregolari) oppure le intenzioni cattive. Nella prima interpretazione, Gesù replica “Bibbia alla mano” sul piano della purità rituale che interessava ai farisei (Boyarin 2011, 108); nella seconda, trasferisce il discorso sulla questione per lui prioritaria della purità morale (Dunn 2006b, 613). È stato l’autore del Vangelo di Marco, non Gesù, a rileggere l’episodio come un superamento della legislazione mosaica, a beneficio della comunità prevalentemente gentile a cui scriveva. Per Gesù la validità della Torah era fuori discussione, come ha ben colto l’evangelista Matteo (Stegemann 2011, 307-47).

Gli ultimi giorni e la morte di Gesù

A cosa si dovette la condanna di Gesù? Probabilmente fu fatale l’impatto del suo annunciare l’imminenza del regno di Dio in una Gerusalemme stracolma di pellegrini giunti a Pesach per commemorare la liberazione dall’Egitto. Gesù e i suoi discepoli salirono a Gerusalemme animati da un’intensa attesa escatologica, come provano:

  1. l’ingresso in città tra grida inneggianti al regno di Davide;
  2. l’enigmatica azione profetica con cui Gesù cacciò i venditori dal cortile del Tempio, ispirata dall’attesa di un nuovo Tempio, purificato da attività profane, che avrebbe sostituito quello erodiano (cfr. Sanders 1990, 83-121 e Yabro Collins 2019, 846);
  3. la solenne affermazione, nell’ultima cena, della certa venuta del regno;
  4. la preghiera sul Monte degli Ulivi, tradizionalmente considerato il luogo dell’intervento escatologico di Dio.

Tutto ciò dovette allarmare le autorità romane e giudaiche, le quali, pur sapendo del suo carattere pacifico, ritennero prudente eliminare in anticipo l’annunciatore di un messaggio che avrebbe potuto causare insurrezioni (Fredriksen 1999, 241-59). La condanna quale aspirante “re dei Giudei” fa supporre che gli entusiasmi messianici delle folle avessero già iniziato a concentrarsi su Gesù. La morte di Gesù fu quindi un affare di realpolitik che il prefetto romano Ponzio Pilato risolse senza troppi indugi sulla base delle informazioni ricevute dal sommo sacerdote Caifa, interessato quanto lui a evitare sommosse che avrebbero innescato la brutale repressione romana. Attribuire la morte di Gesù all’intero popolo giudaico è una lettura aberrante priva di ogni fondamento.

Gesù Messia?

La pretesa personale di Gesù ha avuto un ruolo nella sua condanna? Stando all’interrogatorio informale riportato in Mc 14,60-64, egli avrebbe risposto affermativamente alla domanda del sommo sacerdote se fosse lui il messia; Caifa lo avrebbe così accusato di bestemmia. Ritenersi il messia, tuttavia, non era di per sé una bestemmia. Poteva suonare più blasfema la pretesa di intronizzazione alla destra di Dio (cfr. Talmud Bavli Sanhedrin 38b, dove rabbi Akiva viene redarguito per aver interpretato il plurale “troni” in Dn 7,9 come riferito al trono del messia accanto a Dio), ma non si può fare affidamento su un detto che sembra riflettere la fede post-pasquale nell’avvenuta esaltazione di Gesù e nella sua prossima parusia.

Monte degli Ulivi - panoramica

La questione dell’autocomprensione di Gesù è tra le più sfuggenti per lo storico. Certamente Gesù si ritenne profeta; più esattamente: profeta-taumaturgo. Ritenne anche d’essere il messia? Nel giudaismo di allora vi erano varie concezioni messianiche:

  1. un messia regale, “figlio di Davide”, che avrebbe liberato Israele (cfr. Salmi di Salomone 17,21-25);
  2. un messia sacerdotale, con autorità superiore al messia regale (come in vari testi dei Rotoli del Mar Morto);
  3. un messia angelico che avrebbe liberato il mondo dal male e presieduto il giudizio finale (come il Figlio dell’uomo nel Libro delle Parabole di Enoc);
  4. un messia profetico, simile a Mosè e/o Elia, che avrebbe operato prodigi (come nell’Apocalisse messianica 4Q521 ritrovata a Qumran).

Se l’opzione sacerdotale va esclusa in partenza, problematica è anche quella regale, prospettiva in cui Gesù sembrò poco incline a riconoscersi. Un messia profetico operatore di prodigi meglio s’adatta alla sua figura, anche alla luce dei paralleli tra 4Q521 e Mt 11,4-5; non è chiaro tuttavia quanto fosse diffusa tale aspettativa e se egli poté identificarvisi consapevolmente.

Un'identità elusiva

Quantomai controverso, infine, il problema dei detti sul Figlio dell’uomo (Dunn 2006b, 760-97). Al di là di alcuni detti in cui l’espressione aramaica soggiacente, bar enasha, significava semplicemente “un essere umano”, “uno nella mia situazione” (cfr. Mt 8,20), è probabile che Gesù abbia fatto riferimento, in alcuni detti di tenore apocalittico (cfr. Lc 17,24-30) alla figura angelica “simile a un essere umano” (il protettore celeste d’Israele, verosimilmente Michele) di Dn 7 o alla sua rilettura messianica nel Libro delle Parabole di Enoc.

Ma questi detti non permettono di stabilire chiaramente come Gesù si rapportasse a tale figura: si identificava in essa (Theissen – Merz 1999, 670)? Oppure attendeva la venuta sulla terra di un essere distinto da lui (Ehrman 2015, 226-8), o la sua manifestazione in cielo che avrebbe determinato l’avvento del regno sulla terra (Adinolfi 2021, 161-2)? Gesù era piuttosto reticente ad affrontare la questione della sua identità.

Uno dei dati forse più chiari è il senso di intimità filiale con cui si rapportava al Dio-Abbà (cfr. Mc 12,6; Mt 11,27) al pari di altri mistici ebrei dell’epoca, come Choni il Tracciacerchi, che si considerava “come un figlio della casa” di fronte a Dio (cfr. Mishnah Taanit 3,8; Vermes 1983, 241-245); ma era qualcosa che Gesù viveva esperienzialmente, soprattutto nella preghiera, non un oggetto di riflessione e di insegnamento. Solamente dopo Pasqua, dunque, il mistero della persona di Gesù poté essere penetrato, almeno nella fede dei suoi discepoli.

Per un approfondimento: riferimenti bibliografici

  • Adinolfi Federico (2021), Giovanni Battista. Un profilo storico del maestro di Gesù, Carocci, Roma.
  • BOCCACCINI GABRIELE – STEFANI PIERO (2012), Dallo stesso grembo. Le origini del cristianesimo e del giudaismo rabbinico, EDB, Bologna.
  • BOND HELEN K. (2012), The Historical Jesus: A Guide for the Perplexed, T&T Clark, London.
  • BOYARIN DANIEL (2012), Il vangelo ebraico. Le vere origini del cristianesimo, Castelvecchi, Roma.
  • DESTRO ADRIANA – PESCE MAURO (2021), Il Battista e Gesù. Due movimenti giudaici nel tempo della crisi, Carocci, Roma.
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  • DUNN JAMES D.G. (2006b), Gli albori del cristianesimo. Vol. 1/2: La memoria di Gesù. La missione di Gesù, Paideia, Brescia.
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  • MELLO ALBERTO (2011), L’ebraicità di Gesù e dei vangeli, EDB, Bologna.
  • SANDERS ED P. (1990), Gesù e il giudaismo, Marietti, Genova.
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  • TESTAFERRI FRANCESCO (2018), Galilea al tempo di Gesù. Nuove scoperte archeologiche e prospettive, Cittadella, Assisi.
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  • YARBRO COLLINS ADELA (2019), Vangelo di Marco. Vol. 2: Commento ai capp. 8,27 – 16,20, Paideia, Brescia.
  • ZYGULSKI PIOTR (2019), Il battesimo di Gesù. Un’immersione nella storicità dei vangeli, EDB, Bologna.
  • ZYGULSKI PIOTR – ADINOLFI FEDERICO (a cura di) (2021), Riattivare il Gesù storico, Effatà, Cantalupa.

Credits:

Creato con un’immagine di Didgeman - "jesus christ religion jesus"