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Dialogo Percorsi di conoscenza

a. Prospettiva biblica

La Bibbia nel suo insieme è attestazione del dialogo tra Dio e l’uomo, che si svolge su piani diversificati: da quello verticale fra Dio e l’uomo, misterioso, fatto di gesti e parole; a quello più orizzontale, che interessa la relazione fra Israele e le nazioni; infine, ad un vero e proprio originale modello dialogico praticato da Gesù e dagli apostoli.

Il dialogo tra Dio e l’uomo

Nell’AT, Dio è l’iniziatore del processo, si mette in dialogo con l’uomo, usando diversi linguaggi umani, percepibili all’uomo in diversi contesti storici. Dio interpella e si lascia interpellare (storia, avvenimenti, fatti, personaggi). L’ascolto genera una reciprocità, fatta di ascolto e risposta. Tale dialogo mostra tutta la sua problematicità, per la difficoltà di decifrare il messaggio che non è così immediato ed evidente, per cui l’uomo deve sforzarsi di comprendere, in un atteggiamento costante di ricerca, fatta di interrogativi e di attese. La fatica di tale comunicazione è emblematica nell’episodio della lotta tra Giacobbe e l'angelo (Gen 32, 24-32). Essa avviene nell’oscurità. Presuppone la diversità degli interlocutori; mostra la illusorietà di racchiudere l’Altro nei propri schemi mentali. Per il mondo biblico dialogare non significare capire tutto o ridurlo a misura del dialogante, ma coglierne la sacralità, rispettandola ed accogliendola.

Per le risonanze artistiche: D. PEZZINI, Giacobbe e l’angelo. Il mistero della relazione, L’ancora, Milano 2011.

Dio garante del dialogo tra gli uomini

Nell’episodio della Torre di Babele (Gen 11), Dio appare come difensore della diversità dei linguaggi, diventando il garante della differenza, quindi del dialogo. La difficoltà dettata dalla confusione delle lingue in realtà è un appello alla diversità come premessa del dialogo, quindi della autentica costruzione anche della città degli uomini. Il Dio creatore è un Dio che benedice la molteplicità delle razze, delle lingue, delle culture e anche delle esperienze religiose, una sorta di biodiversità umana analoga a quella presente nelle specie vegetali e animali.

Anche la chiamata di Abramo (Gen 12,1-4a) non è esclusiva ma aperta a tutti gli uomini. Come Israele, è chiamato ad essere ponte e strumento del dialogo con Dio di tutti i popoli. Ciò comporta una possibilità di relazione nella distinzione e di cammini diversificati verso una prospettiva comune di salvezza. Tale vocazione si ritrova anche nelle immagini profetiche usate per Gerusalemme:

Cammineranno i popoli alla tua luce [di Gerusalemme] i re allo splendore del tuo sorgere (Is 60,3).

Qui vi è un’indole dialogica, in cui identità e dialogo non sono in conflitto, ma si compenetrano svelando l’indole dialogica della salvezza.

Per approfondire:

Gesù, maestro di dialogo

Nella persona di Gesù avviene però la espressione piena di una volontà dialogica da parte di Dio. Il suo insegnamento, in gesti e parole, è una provocazione che si fa dialogo con gli israeliti dalle persone più semplici ai capi religiosi, o con gli stranieri e uomini e donne senza alcuna distinzione. In particolare, il vangelo di Giovanni ci offre molteplici esempi di dialogo: con Nicodemo (Gv 3,1-21); la “Samaritana” (Gv 4,1-42); Pilato (Gv 18, 33-40; 19,9-13). Il dialogo di Gesù con i tre tocca aspetti complementari: con Nicodemo è l’interpretazione della Tōrāh; con la Samaritana è la riflessione sull’esperienza religiosa monoteistica; con Pilato, presentato quasi come un filosofo, è la questione della verità.

Nell’episodio della samaritana, Gesù mostra la sua intenzione dialogica, non solo attendendo la donna al pozzo di Sicar, ma superando una serie di barriere culturali: quella sessuale (un maestro rispettabile non si sarebbe mai fermato con una donna); quella etnica e religiosa (apparteneva ad un popolo diverso di tradizione scismatica). Ogni dialogo richiede l’infrangimento di tabù che generano divisioni e distanze.

Gesù segue uno stile preciso, parte da elementi concreti, chiede l’acqua da bere, poi si pone in atteggiamento di accoglienza. Si tratta di un vero incontro con l’alterità. Non è una strategia ma un atto di fiducia riposta nella persona, senza pregiudizi. Di fatto poi, cadute le barriere, si giunge a toccare il pozzo profondo della vita della persona, le sue esperienze dolorose e le sue attese di salvezza. In tal modo emergono potenzialità soffocate, che conducono ad una presa di coscienza di nuove possibilità di relazione con Dio, con la vita e con gli altri. Le conseguenze del dialogo si traducono per la donna in un desiderio di comunicazione agli altri, agli abitanti del villaggio.

b. Prospettiva dogmatica

Quale posto per il dialogo nella Chiesa?

Il dialogo va considerato “accessorio” o riguarda la costituzione fondamentale della Chiesa? Bisogna affrontare la questione se esso possa rappresentare semplicemente una “buona pratica” riservata ai volenterosi della Chiesa, che nulla aggiunge però alla sua vocazione propria. In realtà, negli ultimi anni è cresciuta la consapevolezza che il dialogo attiene all’identità stessa della Chiesa, tanto da poter parlare - in analogia con la «natura missionaria», affermata in AG 2 - di una sua “natura dialogica”.

Il dialogo si colloca, perciò, ad un livello fondativo dell’essere chiesa. Si tratta, però, di una tensione dinamica che spinge continuamente la Chiesa ad uscire da sé, perché nell’andare fuori-da-sé riesce ad essere meglio se stessa, fedele alla sua vocazione originaria.

Elemento centrale di questo progetto, sembra risiedere nella tensione alla non autoreferenzialità, come ha rimarcato il magistero di papa Bergoglio, poiché «solo grazie a quest’incontro – o reincontro – con l’amore di Dio, che si tramuta in felice amicizia, siamo riscattati dalla nostra coscienza isolata e dall’autoreferenzialità» (EG 8).

Una Chiesa in dialogo per il mondo

Come ha mostrato il cammino di ricezione del Vaticano II, il riferimento a Cristo diviene la chiave di volta per aprirsi ad una visione “inclusiva” delle altre esperienze religiose, in virtù di quella presenza diffusa, nel modo dei “semi del Verbo”, pur sempre misteriosa nelle dinamiche esistenziali dell’umanità tutta e quindi dell’umanità “religiosa”, nel suo cammino di ricerca della verità e di una relazione stabile con un fondamento originario e trascendente.

L’immagine di una Chiesa che “in Cristo” diviene segno e strumento per l’unità del genere umano, inoltre, chiama in causa inevitabilmente il riferimento al mondo. La Chiesa tratteggiata dal Concilio, appare una realtà costitutivamente radicata “in Cristo” e orientata al (o se vogliamo per) il mondo, al servizio del quale essa è chiamata a rinsaldare le dinamiche di unità.

Dall’analogia con il Verbo incarnato di LG 8, si può giungere ad una visione di “reciprocità”, secondo cui la Chiesa non ha non solo da “dare” al mondo, ma ha anche da accogliere e ricevere. Come già in Laudato Sì, ancor più nel caso di Fratelli tutti si può affermare che la Chiesa si comprende in relazione al mondo, di cui fa parte e con cui entra in relazione, pur rimanendone distinta. Ciò non significa diluire la sua identità specifica in un orizzonte che superi la distinzione tra le confessioni religiose, ma comprendere quella stessa identità in un orizzonte relazionale, e quindi dialogico.

Contenuti e dimensioni del dialogo

Probabilmente nella percezione comune il dialogo interreligioso viene a coincidere con una sorta di studio comparato tra i vari elementi dottrinali e di prassi delle singole confessioni religiose. Ad uno sguardo più attento la domanda sui contenuti del dialogo può essere declinata secondo prospettive differenti come aveva messo in evidenza il documento Dialogo e annuncio (1991), elencando le diverse dimensioni del dialogo:

  • il dialogo della vita,
  • il dialogo delle opere,
  • il dialogo degli scambi teologici,
  • il dialogo dell’esperienza religiosa.

Queste “dimensioni” del dialogo esprimono in un’unica formula lo stretto intreccio tra i soggetti protagonisti del dialogo, l’oggetto del loro scambio dialogico e le modalità più adeguate. Questa pluralità di forme e di possibilità fa poi riferimento ai diversi livelli e registri in cui può collocarsi la dinamica dialogica, intercettando di volta in volta la semplice esperienza umana o chiamando in causa le implicazioni teologiche più elaborate.

Riferimenti

Il dialogo interreligioso favorisce la pace tra i popoli e genera speranza

Film consigliato: “Ave Maria” di Basil Khalil

Volendo individuare in modo sintetico delle caratteristiche fondamentali per un dialogo fruttuoso, possiamo fare ancora riferimento al magistero di papa Bergoglio che ha indicato, nel suo discorso ad Al Azhar ai partecipanti alla conferenza internazionale per la pace: «tre orientamenti fondamentali, [che] se ben coniugati, possono aiutare il dialogo: il dovere dell’identità, il coraggio dell’alterità e la sincerità delle intenzioni».

Discorso Papa Francesco ad Al Azhar (28.04.2017)

Questa prospettiva ha trovato una sua prima forma di attuazione nel Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune, firmato il 4 febbraio 2019 ad Abu Dhabi da papa Francesco e Ahmad al- Tayyib, Grande Imam di Al-Azhar. Si è fatta sempre più chiara l’insistenza di papa Francesco, infatti, sulla prospettiva della fraternità, quale orizzonte all’interno del quale comprendere le possibilità del dialogo tra le religioni, come è emerso soprattutto nell’enciclica Fratelli tutti.

Credits:

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