Loading

Area dialogo Attualità

C’è chi ritiene che parlare di dialogo interreligioso voglia dire muoversi in una prospettiva vagamente sociologica o peggio ancora leziosamente sentimentale: una sorta di invito alla convivenza pacifica a partire dalla costatazione del pluralismo crescente o un’esortazione al “vogliamoci bene” che oscilla tra ingenuità e disperazione. Sullo sfondo ci sarebbe in entrambi i casi la percezione della minaccia che reca in sé l’esplosione della diversità con cui abbiamo a che fare ogni giorno e che neppure le dinamiche della globalizzazione nel loro sistematico e disciplinante controllo riescono a contenere.

Che cosa si può fare se non invitare al dialogo quando gli schemi culturali del nostro mondo non tengono più, quando la presenza di altri mondi culturali e tradizioni religiose differenti si fa così vicina e non più cancellabile? Le vie sembrerebbero obbligate: o riaffermare rigidamente la propria identità contro tutto e contro tutti, conservare un principio di sovranità, delimitare e difendere il proprio spazio, respingere l’altro, lo straniero con la sua cultura e le sue credenze religiose, relegarlo in spazi di marginalità o in nuovi ghetti, oppure aprirsi al dialogo per trovare equilibri possibili e gestire con intelligenza la convivenza.

Adrian Paci, Centro di permanenza temporanea (California, 2007). Un’immagine del video realizzato dall’artista)

Il documento del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso Dialogo e annuncio: riflessioni e orientamenti concernenti il dialogo interreligioso e l’annuncio del Vangelo indica quattro forme principali del dialogo interreligioso, senza porre gerarchie di priorità tra esse e che possono essere stimolanti per la riflessione:

Il dialogo interreligioso, quindi, non può essere riducibile a mero atteggiamento tattico, non è una questione di tolleranza forzata o di formale cortesia resa necessaria dalla situazione del nostro tempo. Non è neppure una strategia volta ad arginare il rischio della distruzione reciproca. E non si risolve nella definizione di impegni comuni per affrontare insieme le sfide che tutti ci coinvolgono: la difesa dell’ambiente, la lotta contro ogni forma di povertà, la costruzione della pace. C’è un di più che connota l’orizzonte di senso del dialogo interreligioso e che ne fa una forma specifica di dialogo: la più alta e per questo più esigente; ma anche in qualche modo quella che tutte le ingloba. Il dialogo interreligioso ha nella tessitura della fraternità umana il suo orizzonte di senso, la direzione secondo cui è chiamato a costruirsi.

Questa fraternità è il sogno che ci portiamo impresso come un sigillo e che continuamente riaffiora tra le pieghe della storia pur nei drammi e nelle ferite che l’attraversano, perché è il sogno di Dio: il sogno dell’unità. Una unità che non è uniformità ma armonia delle differenze. Come la fraternità che non richiede subordinazioni o azzeramento delle tensioni ma sapiente e sempre nuova articolazione delle differenze in una accoglienza reciproca che si fa tessitura di comunione. A rendere possibile questa fraternità è Dio stesso che ne è principio e compimento ed è la misteriosa azione dello Spirito. Per questo non è mettendo tra parentesi la fede che si può costruire una cultura dell’incontro e un mondo di pace, ma nella fede, nella propria fede e nella fede dell’altro.

È «in nome di Dio» che nel Documento di Abu Dhabi si dichiara di «adottare la cultura del dialogo come via; la collaborazione comune come condotta; la conoscenza reciproca come metodo e criterio». Ed è «la fede» che «porta il credente a vedere nell’altro un fratello da sostenere e da amare» (Documento sulla fratellanza umana). Nell’enciclica Fratelli tutti leggiamo: «Non si tratta di renderci tutti più light o di nascondere le convinzioni proprie alle quali siamo più legati, per poterci incontrare con altri che pensano diversamente […] Come credenti ci vediamo provocati a tornare alle nostre fonti per concentrarci sull’essenziale» (FT 282).

La relazione a Dio è sorgente e paradigma di dialogo ed è principio e fonte di una fraternità possibile. Per i credenti in Gesù Cristo questa è la sostanza stessa della nostra fede: la pienezza verso la quale tendiamo e che nella Pasqua del Signore Gesù ci è data come seme, come lievito che silenziosamente fermenta il cammino dell’umanità.

Per approfondire:

Credits:

Area dialogo - attualità