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Area dialogo Conoscenza

I fondamenti

Prospettiva biblica

Tra le tante icone che la Bibbia ci offre del dialogo interreligioso certamente una delle più misteriose ed affascinanti è l’incontro tra Abramo e Melchisedek (Gen 14,14-24). In esso appare la sequenza delle esperienze significative di Israele: in particolare l’incontro e la benedizione.

Abramo e Melchisedek sono due figure diverse.

Sul piano identitario, Abramo è ebreo (difficile spiegare il termine ‘ibrī), nome usato da non-israeliti (cf anche Gn 1,9), forse ad indicare strati subalterni della popolazione egiziana, non di etnia diversa. Non è un re ma si trova costretto ad allearsi con i re per liberare Lot suo nipote. Melchisedek, invece, è un re-sacerdote. Non si sa nulla di Melchisedek, né da dove viene, né di chi è figlio. Non è di casta sacerdotale; è contemporaneamente re e sacerdote, come si usava nell’Oriente antico.

Sul piano religioso, Abramo crede nel Dio unico che gli si è rivelato come persona mentre egli contemplava le stelle (Gen 12,1-9) e con cui ha stretto un patto di alleanza. Melchisedek crede in un Dio altissimo, “creatore del cielo e della terra”, espressione che vuole dire probabilmente la fiducia in un Dio cosmico. Vi è una diversità di credenze che però affonda le radici in una analoga esperienza religiosa che si basa sulla relazione fra le creature e il Creatore.

Sul piano delle azioni, l’iniziativa è di Mechisedek il cui nome significa “il mio re è giustizia”, e il suo ruolo, re di Salem ossia “re di pace”, condensa e rappresenta ciò che si è appena realizzato, ossia la fine della guerra e il ritorno della pace. Egli offre pane e vino. Non sappiamo se si tratti di un gesto di ospitalità (sul modello di quello che Abramo avrà verso i misteriosi viandanti (cf Gen 18,1-10) o piuttosto di un’offerta rituale e quindi di un banchetto di comunione con il Dio altissimo. In ogni caso non è un sacrificio cruento. La benedizione che eleva su Abramo dice la sua indole (14,20s):

Sia benedetto Abram dal Dio altissimo ('ēl ‘elyôn), creatore del cielo e della terra, e benedetto sia il Dio altissimo, che ti ha messo in mano i tuoi nemici.

Una riflessione più particolareggiata sulla figura di Melchisedech la si trova in un bellissimo libretto di J. Danielou, I santi pagani dell’Antico Testamento, Brescia 1988

Tale benedizione è duplice. Abramo è benedetto dal Dio altissimo e il Dio altissimo è benedetto da Abramo. La ragione di tale seconda benedizione spiega anche il senso della vittoria ottenuta grazie al sostegno prodigioso di Dio. In questo caso è uno straniero che profeticamente interpreta la vita del credente. Secondo quanto promesso da Dio, la benedizione si espande su coloro che Abramo incontra: “Benedirò coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno maledirò e in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra” (Gen 12,3). La riconoscenza di Abramo verso il re di Salem si manifesta nella offerta della decima, che come si svela anche dopo, nella rinuncia al bottino di guerra (Gen 14,23), rivela Abramo come uomo libero dagli attaccamenti e fiducioso solo nell’azione di Dio.

In definitiva, in questo episodio si possono cogliere alcuni tratti permanenti del dialogo interreligioso, che affratellano i credenti: il riconoscersi l’uno per l’altro come fili di un’unica storia anche se di colori diversi, che continuamente va tessuta nel tempo e nel mondo e la capacità di vedere la presenza di Dio riflessa in persone diverse, aperte all’azione misteriosa di Dio.

Infine, la simbolica presenza in Gerusalemme, città non solo degli ebrei, ma madre di tutti i popoli rende questo episodio di per sé paradigmatico di una lunga serie di riletture ed approfondimenti in diverse tradizioni. Così in quella ebraica abbiamo la celebrazione di Melchisedek fatta dal Salmo 110,4 in cui egli diventa figura e immagine del Messia, Re e Sacerdote, e nella Lettera agli Ebrei (7,1-3) assurge a prefigurazione di Cristo, sommo sacerdote per sempre, che nell’offerta del pane e del vino ha racchiuso ogni benedizione.

In questa linea va letta la presenza del riferimento a Melchisedek nella Preghiera Eucaristica I o Canone romano:

Volgi sulla nostra offerta il tuo sguardo sereno e benigno,

come hai voluto accettare i doni di Abele, il giusto,

il sacrificio di Abramo, nostro padre nella fede,

e l’oblazione pura e santa di Melchisedek, tuo sommo sacerdote. (Messale romano, III ed., p. 420)

A proposito di riletture dell’episodio biblico, è interessante osservare il mosaico Il sacrificio di Abele in Sant’Apollinare in classe.

Il sacrificio di Abele, Sant’Apollinare in classe, Ravenna, sec. VII

Attribuibile al rifacimento dell’epoca dell’arcivescovo Reparato (673-679), il mosaico si inserisce in un quadro d’insieme che rappresenta le offerte di Abramo, Abele e Melchisedek, si rifà alle due lunette del presbiterio di San Vitale, con l’intento di glorificare il sacrificio eucaristico e ribadire il significato della grande croce clipeata posta al centro del catino absidale.

Melchisedek in abiti sacerdotali è al centro della composizione, dietro all’altare, mentre alla sua destra si trova Abele ricoperto di pelle, in atto di porgere una pecora e a sinistra Abramo, con lunga tunica bianca, che conduce verso l’altare il figlioletto per offrirlo a Dio. Dall’alto si nota si nota la mano emergente dalle nuvole segno dell’accoglienza divina. Il richiamo eucaristico è ben evidente, nello stesso tempo le figure di Abele e quella di Melchisedek di fatto sono rivelative di una relazione con Dio che viene prima dell’alleanza abramitica sia pure collegate dall’idea del sacrificio.

Per approfondire:

J. Danielou, I santi pagani dell’Antico Testamento, Brescia 1988², 107-113, di cui riportiamo alcuni passaggi:

Tra le grandi figure non ebraiche dell’Antico Testamento, Melchisedech è una delle più eminenti. La Genesi non gli consacra che un breve paragrafo, carico però di significato (14,18-20), il salmo 109 ci mostra in lui il modello del sacerdote eterno, la Lettera agli Ebrei gli consacra numerosi passi. I Giudei cercheranno di diminuirlo a profitto di Abramo. Ma i cristiani esaltano in lui l’immagine del sacerdozio del Cristo e le primizie della Chiesa delle nazioni. […] Melchisedek è il gran sacerdote della religione cosmica. Egli raccoglie in sé tutto il valore religioso dei sacrifici offerti dalle origini del mondo sino ad Abramo e attesta il gradimento di Dio. […] La grandezza di Melchisedek non è solo essere la più perfetta espressione del suo ordine proprio, ma di essere la figura di colui che sarà il gran sacerdote eterno e che offrirà il perfetto sacrificio. [….] Il salmista [cf. il Sal 109] annunciava che alla fine dei tempi sarebbe apparso l’ultimo grande sacerdote, colui che sarebbe stato il gran sacerdote in eterno, perché avrebbe esaurito la realtà del sacerdozio e perché non sarebbe stata possibile l’esistenza di altri dopo di lui. E’ questo testo che la Lettera agli Ebrei applicherà a Gesù, attestando come si realizzi in Lui (Eb 4,6) …. i titoli stessi di Melchisedek si caricano di un misterioso simbolismo, la giustizia e la pace si riuniscono in lui, la giustizia e la pace di cui il Sal 84,11 dice che si sono abbracciate. […] I sacrifici che venivano offerti fino ad allora [fino a Cristo] esprimevano lo sforzo dell’uomo di riconoscere la sovranità di Dio. Ma il loro sforzo non aveva successo a causa dell’eccessiva sproporzione tra la fragilità dell’uomo e la santità di Dio. Sacrifici pagani di Melchisedek, sacrifici ebraici di Aronne, tutti si urtavano contro la soglia invalicabile. Essi non penetravano nel santuario, e la loro stessa ripetizione ne attestava il fallimento. Per questo, nella pienezza dei tempi, il Figlio dell’Uomo, unito alla natura dell’uomo da un legame indistruttibile, si è fatto obbediente fino alla morte e fino alla morte di croce, manifestando con la sua obbedienza l’infinita amabilità della volontà divina e rendendo così a Dio una gloria perfetta. Ora la gloria di Dio è il fine stesso della creazione. Così, nell’azione sacerdotale di Gesù Cristo, Dio è stato perfettamente glorificato in modo che nessuna gloria nuova gli possa più essere data. Tutti gli altri sacrifici sono così aboliti e noi non potremo ormai offrire al Padre che l’unico sacrificio di Gesù Cristo, di cui ogni eucaristia è il sacramento attraverso l’unico sacerdozio di Gesù Cristo, di cui ogni sacerdozio è la partecipazione. Abolendo però così tutti i sacrifici antichi, Gesù Cristo non li distrugge, ma li compie. Attraverso Lui tutti i sacrifici di tutte le nazioni, ogni sforzo dell’uomo per glorificare Dio è rivolto al Padre e giunge sino a Lui. E la menzione del sacrificio di Melchisedek, sanctum sacrificium, immaculatam hostiam, nella preghiera eucaristica I attesta che non solo i sacrifici del Tempio di Israele, ma anche quelli del mondo pagano sono così ripresi e assunti nel sacrificio del Sommo Sacerdote eterno.

Prospettiva dogmatica

Religioni – dialogo – fraternità – pace. Queste quattro parole chiave possono aiutarci a ritrovare motivazioni ancora più forti per il dialogo tra credenti di diverse fedi oggi. Infatti, spesso ci si chiede quale debba essere l’obiettivo finale e l’orizzonte in cui muoversi per il dialogo interreligioso.

La recente enciclica Fratelli tutti di papa Francesco, infatti, ha indicato nella fraternità l’orizzonte all’interno del quale poter comprendere oggi in modo nuovo anche il dialogo tra le religioni in vista del comune obiettivo della pace.

Papa Francesco ad Assisi nel 2016

Una riflessione che oggi più che mai assume i tratti della profezia per un mondo che sembra aver smarrito del tutto la via della pace, condannato ad essere in balia della logica del conflitto e della contrapposizione violenta, generata dalla ricerca di profitti economici e dalla supremazia delle potenze su scala mondiale.

P. Picasso, La Guerra e La Pace (Vallauris, 1953).

Per l’appello per la pace di Ucraina di Papa Francesco

Perché proprio le religioni, che nei secoli sono state anche fattori di contrapposizione sociale, non di rado sfociate in espressioni violente, possono invece essere oggi generative di percorsi di fraternità?

In effetti, a uno sguardo più attento, il punto di vista più innovativo di questa enciclica, su questo tema, non sta tanto nell’invito rivolto alle religioni a condividere relazioni e percorsi di fraternità, quanto nel sottolineare l’intrinseca valenza “fraterna” delle comunità religiose. In altri termini, le religioni non solo sono chiamate a stringere legami di amicizia fraterna tra loro, basati sulla condivisione di obiettivi sociali comuni, ma sono valorizzate nel loro essere una sorta di “laboratori” di fraternità, nelle loro dinamiche ad intra.

Ancora una volta risulta imprescindibile il riferimento al Documento sulla fratellanza umana per la Pace mondiale e la convivenza comune di Abu Dhabi del 4 febbraio 2019, da cui soprattutto il cap. VIII appare fortemente e materialmente dipendente, quanto al testo e alla genesi.

Firma del documento di Abu Dhabi da parte di Papa Francesco e il Grande Imam di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyeb

Prova ne è il fatto che papa Francesco non si limiti solo a rimandi abbondanti a quel testo, ma lo riproponga in ampi stralci, rilanciandone l’appello in esso contenuto. Un punto qualificante del Documento risiede nel fatto che «i due leader offrono ai loro fedeli una narrazione condivisa» la quale «consente di sentirsi parte della stessa storia, di percepirsi confrontati dalle stesse domande, dalle stesse inquietudini e preoccupazioni, di interrogarsi insieme sui valori da difendere per promuovere una vita comune accogliente per tutti, di elaborare una diagnosi comune sui problemi che affliggono il nostro mondo». È questo stesso atto narrativo che rappresenta in sé un “laboratorio” di fraternità, poiché, «in una narrazione condivisa l’altro smette di essere nemico per diventare fratello, e le due religioni cessano di lottare per affermarsi come l’u¬nica prospettiva sul mondo e si scoprono alleate per costruire la pace». Il fatto che non si tratti tanto di un documento “di compromesso” tra due o visioni religiose differenti, ma del tentativo concreto di tessere una narrazione condivisa appare un elemento di assoluto valore, dalle indubbie potenzialità. «Dal punto di vista dell’immaginario sociale, infatti, le narrazioni condivise rap-presentano la base su cui le comunità (religiose, culturali, nazionali, ecc.) elaborano la propria identità e l’orizzonte anche valoriale al cui interno si cercano e si valutano le soluzioni ai problemi».

Citazioni da G. COSTA, «Le religioni e il coraggio dell’alterità», cit., 183

La fraternità, dunque, in riferimento alla prospettiva del dialogo tra i credenti di diverse religioni, appare al tempo stesso come meta da raggiungere, ma anche come presupposto del percorso stesso. La fraternità, infatti, ponendo l’accento sull’affermazione di una comune origine di tutti gli uomini e su un conseguente legame di interdipendenza delle loro sorti, è ciò che legittima l’impegno a comprendere meglio la tradizione dell’altro, nella consapevolezza di un inestricabile intreccio tra i vari percorsi ispirati da una “fede”. La prospettiva della fraternità, allora, fungendo simultaneamente da orizzonte e criterio di orientamento, riesce a dare alla stessa dinamica dialogica uno stimolo per un approfondimento sempre maggiore delle radici profonde su cui fondare la condivisione e l’arricchimento reciproco.

Grazie a questa visione di fraternità che spinge a risalire ad una comune origine, allora, le fedi, nella loro diversità, prima di essere portatrici di visioni differenti da conciliare tra loro, appaiono come esperienze caratteristiche di un comune humus. In altri termini, l’aver “fede” è già un tratto che accomuna e che spinge conoscere sempre meglio l’altro, come fratello, con l’effetto di arricchire progressivamente la sua stessa visione, ermeneuticamente strutturata all’interno di una tradizione religiosa. Questo compito può essere assolto dalle singole comunità religiose se vivono in modo sempre più consapevole «il primato dato alla relazione, all’incontro con il mistero sacro dell’altro, alla comunione universale con l’umanità intera come vocazione di tutti» (Fratelli tutti 277). È così che sembra trovare uno sviluppo più convinto di quanto tratteggiato già dal Vaticano II: «Non possiamo invocare Dio come Padre di tutti gli uomini, se ci rifiutiamo di comportarci da fratelli verso alcuni tra gli uomini che sono creati ad immagine di Dio» (Nostra Aetate 5).

Dall’acquisizione di una consapevolezza sempre più forte di essere “laboratori di fraternità” scaturisce per le religioni la possibilità di costruire percorsi di condivisione fraterna per realizzare la pace. In FT la riflessione sul contributo delle religioni in quanto forze di pace viene contestualizzato nell’ambito della stigmatizzazione del rapporto tra religioni e violenza. Anche in questo caso, viene ribadito il fondamento nel comune e originario riferimento a quel Dio in cui si crede: «Tra le religioni è possibile un cammino di pace. Il punto di partenza dev’essere lo sguardo di Dio. Perché “Dio non guarda con gli occhi, Dio guarda con il cuore. E l’amore di Dio è lo stesso per ogni persona, di qualunque religione sia. E se è ateo, è lo stesso amore. Quando arriverà l’ultimo giorno e ci sarà sulla terra la luce sufficiente per poter vedere le cose come sono, avremo parecchie sorprese!”» (Fratelli tutti 281). In questo modo, la riflessione portata avanti da papa Bergoglio può contribuire a rafforzare una visione positiva del contributo delle religioni alla sfera pubblica, in un’ottica di pace, ribaltando definitivamente una precomprensione negativa verso le appartenenze religiose, viste, nei primi due decenni di questo secolo, sempre più come fattori generativi di conflitti, anche con degenerazioni violente.

Foto della manifestazione interreligiosa “Il grido della pace” (Roma, 25 ottobre 2022) pubblicata dal giornale Avvenire (l’articolo include il testo dell’appello per la pace firmato da Papa Francesco e dagli altri capi religiosi al termine del meeting)

Il punto che ci appare come più qualificante in questo “progresso” nel modo di pensare il rapporto tra religioni, violenza e pace, come già accennato poco sopra, sembra risiedere nel fatto che questi percorsi di condivisione auspicati non sono pensati come un semplice impegno “sociale” che richieda necessariamente un’epochè, una “messa tra parentesi” delle questioni che attengono alla appartenenza confessionale e alla pratica cultuale: tutt’altro!

L’enciclica rilancia il ruolo positivo “in sé” dell’esperienza religiosa, quando si afferma che «come credenti ci vediamo provocati a tornare alle nostre fonti per concentrarci sull’essenziale: l’adorazione di Dio e l’amore del prossimo, in modo tale che alcuni aspetti della nostra dottrina, fuori dal loro contesto, non finiscano per alimentare forme di disprezzo, di odio, di xenofobia, di negazione dell’altro» (Fratelli tutti 282).

Da qui la conclusione che «la verità è che la violenza non trova base alcuna nelle convinzioni religiose fondamentali, bensì nelle loro deformazioni» (ib.). E con forza ancora maggiore si prosegue così il discorso: «Il culto a Dio, sincero e umile, “porta non alla discriminazione, all’odio e alla violenza, ma al rispetto per la sacralità della vita, al rispetto per la dignità e la libertà degli altri e all’amorevole impegno per il benessere di tutti”. In realtà, “chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore” (1 Gv 4,8)» (Fratelli tutti 283).

Si comprende meglio, allora, come in questo quadro la riproposizione dell’appello di Abu Dhabi riceva ulteriore forza argomentativa, che mette al riparo quell’evento, e il documento collegato, da un’interpretazione riduttiva che lo presenti come mero avvenimento puntuale, dalla funzione celebrativa o diplomatica, con la relativa risonanza mediatica. Un appello, quello, in cui il “nome” della fratellanza umana è raccordato direttamente con il “nome” di Dio:

«In nome di Dio che ha creato tutti gli esseri umani uguali nei diritti, nei doveri e nella dignità, e li ha chiamati a convivere come fratelli tra di loro, per popolare la terra e diffondere in essa i valori del bene, della carità e della pace. In nome della fratellanza umana che abbraccia tutti gli uomini, li unisce e li rende uguali. In nome di questa fratellanza lacerata dalle politiche di integralismo e divisione e dai sistemi di guadagno smodato e dalle tendenze ideologiche odiose, che manipolano le azioni e i destini degli uomini.» (Fratelli tutti 285).
Sieger Köder, Giuseppe si riunisce coi fratelli.

Per approfondire:

Video della firma dell’enciclica Fratelli tutti

Video della firma del documento di Abu Dhabi

Preghiera per la pace durante la manifestazione interreligiosa del 25 ottobre 2022 (con traduzione in LIS)

G. COSTA, «Le religioni e il coraggio dell’alterità». (l’editoriale su Aggiornamenti sociali)

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